Tradizione, usanze, fede e gusto. Dalle tavolate alle sfince, San Giuseppe è per i siciliani uno dei santi più amati. Rappresentato come il vecchio rassicurante che tiene in braccio suo figlio Gesù, la festa di San Giuseppe coincide con quella del papà. I festeggiamenti in onore a San Giuseppe hanno il sapore di un risveglio dal torpore dell’inverno, poiché il 19 marzo è anche l’equinozio di primavera.
Padre di provvidenza, artigiano e dunque protettore della categoria dei falegnami, i quali gli dedicano una particolare devozione, la celebrazione del culto a San Giuseppe risale alla fine del 1400 ed è strettamente legata, in tutta l’isola, ai culti arcaici della fertilità e in provincia di Enna anche al mito di Demetra e di Persefone, che proprio nei campi dell’entroterra sembra avere avuto inizio.
In diverse parti della Sicilia il 19 marzo è festeggiato con le cosiddette “tavolate”, tantissime famiglie infatti partecipano alla preparazione di ricchi banchetti collettivi, in segno di abbondanza e per sfamare i poveri. A Salemi, la Festa di San Giuseppe richiama ogni anno nella cittadina normanna migliaia di visitatori provenienti anche da altre regioni d’Italia. Qui la festa delle Cene di San Giuseppe dura una settimana e, durante i preparativi per la festa, Salemi è interessata da tanti estemporanei piccoli cantieri che vengono costruiti con strutture lignee, gli altari, riccamente decorati con arance, limoni, ramoscelli d’alloro e soprattutto con dei caratteristici pani che vengono lavorati dalle donne del luogo in modo da risultare delle vere e proprie opere d’arte.
A Dattilo e a Paceco invece si svolge il tradizionale “‘Nmitu di San Giuseppe”: si distribuisce il pane votivo e si svolge la sfilata del Carro dei pani. A Ribera tradizionalmente si prepara la “stragula” che consiste in un appariscente carro trainato da buoi, che reca una torre alta 10 metri destinata a portare un quadro del Santo. Tra le varie usanze anche gli altari dove vengono sistemati i pani preparati con il finocchietto e che vengono solitamente fatti benedire prima di essere consumati.
Altra storia sono le “vampe”, ossia i falò, che anticamente venivano accese nell’ora del vespro il giorno precedente alla festa, in contemporanea con la vampa principale allestita e accesa davanti alla chiesa Madre. Ma quella che di sicuro non può mancare è la “Sfincia di San Giuseppe”, tradizionalmente palermitana. Sfincia” a Palermo è sinonimo di morbido, soffice. L’origine di questo dolce è antichissima, inoltre pare che sia l’evoluzione di pani o dolci Arabi o Persiani fritti nell’olio.
Questa gustosa e semplice frittella è stata trasformata in un dolce prelibato dall’abilità delle suore del monastero delle Stimmate, situato a Palermo, che l’hanno tramandato ai pasticcieri palermitani e poi dedicato al Santo degli umili, come umili del resto sono anche gli ingredienti. All’inizio la ricetta era piuttosto semplice, ma i pasticceri palermitani hanno reso questo dolce ancora più gustoso e sontuoso arricchendolo con alcuni ingredienti tipicamente siciliani.
Grande quanto un pugno, la Sfincia è un impasto di farina con uova intere e solo tuorli, lievito, latte e zucchero. Una volta mescolato il tutto, quando l’impasto è morbido ed elastico, si lascia riposare per farlo lievitare. A questo punto, il prodotto viene messo in una padella per la frittura e, quando acquisisce un colore dorato, viene tolto dalla padella e ricoperto con una crema di ricotta di pecora, pezzetti di cioccolato e zuccata, e guarnita infine da scorza d’arancia candita.