L’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso ieri durante un attacco terroristico nella Repubblica del Congo, parlava a tutti (e sempre) del fatto che il suo lavoro non fosse una mansione. Ma una missione. A raccontarlo anche i numerosi scatti che Attanasio si faceva con i giovani abitanti del Congo. L’ambasciatore amava il suo lavoro e niente e nessuno glielo avrebbe tolto.
“Io e mia moglie abbiamo tre bambine, la più grande ha tre anni e mezzo e le gemelline due anni e mezzo, e quando dico che sono ambasciatore in Congo tutti sono stupiti, ci dicono che è pericoloso”, aveva dichiarato Attanasio nel discorso in occasione del conferimento del premio internazionale Nassiriya per la Pace, lo scorso 12 ottobre a Camerota (Salerno).
“Partiamo da un presupposto”, aveva proseguito, “Fare l’ambasciatore è un po’ come una missione. Quando sei un rappresentante delle istituzioni hai il dovere morale di dare l’esempio. Tanti sono gli appelli internazionali affinché possa esserci la pace in quelle regioni e il ruolo dell’ambasciata è innanzitutto quello di stare vicino agli italiani in Congo, che non sono soltanto missionari: ci sono, infatti, anche dei laici che dedicano la loro vita, magari medici, che vivono con 80 dollari al mese”, aveva aggiunto l’ambasciatore. “Lo fanno per servizio, per operare e insegnare nella foresta. Il mio impegno personale è ben poco rispetto a quello che fanno questi nostri connazionali”.
Luca Attanasio durante il tragico evento di ieri ha perso la vita con Vittorio Iacovacci, che guidava il mezzo per il convoglio dell’ONU. Il giovane ambasciatore da anni seguiva varie campagne benefiche con sua moglie Zakia Seddiki. Insieme avevano anche vinto tanti premi per le loro buone azioni.