Nessuna cerimonia ufficiale, oggi a Gela, in occasione del trentesimo anniversario della “strage della sala giochi”, quando dalle 19, in meno di mezzora, i “picciotti” della “stidda” scatenarono l’inferno in città all’apice della guerra contro “cosa nostra” con il bilancio di 8 morti e 7 feriti. Non ci sarà alcun manifesto per ricorda le vittime innocenti di quella carneficina.
Forse perché Gela cerca di dimenticare anche se deve comunque fare i conti con il suo passato segnato da stragi e omicidi. E di morti ammazzati nella guerra di mafia a Gela ce ne furono quasi 120, dal 1978 al 1994.
L’episodio più efferato fu proprio quello del 27 novembre del 1990 ad opera degli “stiddari” contro affiliati e fiancheggiatori di “cosa nostra”. Quattro gruppi di fuoco armati di pistole e fucili partirono da un covo nel rione Settefarine sparando all’impazzata contro i giovani avventori della sala giochi “Las Vegas” di Corso Vittorio Emanuele, a due passi da Piazza Salandra (3 morti e 6 feriti); esplosero almeno 50 colpi contro un box per la vendita di frutta e verdura in via Tevere, quasi all’incrocio con via Venezia (furono uccisi due dei tre proprietari, ferito il terzo, e un cliente); ammazzarono a colpi di pistola Francesco Rinzivillo, “uomo di rispetto”, in una macelleria di via Venezia; assassinarono in via Butera, vicino al cimitero monumentale, a colpi di fucili e pistole, un incensurato la cui colpa era quella di essere cognato di affiliati alla cosca del boss “Piddu” Madonia. Lo Stato reagì inviando il prefetto antimafia di Palermo, Domenico Sica, che invitò la popolazione a collaborare. L’indomani, nella periferia nord della “città mattatoio” fu scoperto il covo dei killer e arrestato uno dei complici. La notizia della strage destò stupore e sdegno e fu riportata nelle prime pagine dei giornali italiani e all’estero. Un quotidiano francese definì Gela “Mafiaville”.
fonte Ansa